L'abbazia di Prataglia venne fondata intorno al 986 da monaci benedettini Cassinesi giunti in Toscana. Come afferma Don Parisio Ciampelli nella relazione storica, letta nella chiesa di Badia Prataglia il 20 novembre 1910: «(prima di) allora non iscorgenvasi quassù che vasti deserti e profonde solitudini, valloni muscosi, ricoperti di lussureggiante vegetazione, nei cui seni non udivasi che il ritmo flebile ed uniforme delle acque sonanti tra i massi di quarzo e di arenaria, al quale faceva eco dalle serene regioni dell'aria il grido delle aquile e degli astori, librantisi a picco sui profondi cupi abissi». L'abitato di Badia Prataglia ha un aspetto essenzialmente moderno con caratteristiche architettoniche tipiche dei centri di villeggiatura. L'antico è rappresentato dalla chiesa parrocchiale dedicata alla SS. Assunta e a S. Bartolomeo che sorge proprio al centro del paese, in posizione un po' più bassa rispetto al piano stradale attuale.
Fondata prima del Mille, l'Abbazia è nota a partire dal 1002, come si legge in un diploma di Ottone III Imperatore, precedente quindi alla fondazione di Camaldoli. In pochi anni i monaci aumentarono di numero e nel settembre 1008 fu consacrata la nuova chiesa da parte del vescovo di Arezzo Elemperto, che aveva anche fatto ingrandire il monastero, assegnandogli selve, vigne e campi lungo l'Archiano, nei pivieri di Partina e Bibbiena.
Dalla fondazione fino alla metà del XII secolo L'Abbazia a Prataglia aumenta il proprio potere ed i propri possessi, grazie soprattutto ad una serie di donazioni da parte dei vescovi aretini, ed arriva ad avere possedimenti a Partina, Marciano, Salutio, Gello. Nel 1031 il vescovo Teodaldo assoggettò la chiesa di San Clemente, fuori da Arezzo, alla Badia di Prataglia; fino al 1073 Soci era detto "casale del monastero di Prataglia". Nel 1084 un altro vescovo di Arezzo, Costantino, donò Marciano agli abati di Prataglia.
Ma l'espansione dell'abbazia si scontrò con quella di Camaldoli, nel frattempo salita a più grande potere e fama, che pian piano prese il sopravvento. Dato che nell'Abbazia di Prataglia diminuiva sempre più il numero dei monaci e il potere a favore del monastero concorrente, il 15 giugno 1157, Girolamo, vescovo d'Arezzo, la assoggettò a Rodolfo, Priore Generale camaldolese, insieme a tutti i possedimenti, e tutto ciò a causa soprattutto delle liti e delle lotte sorte fra i due potentati religiosi e temporali; la decisione fu poi approvata dal Papa.
L'unione comportava l'osservanza da parte dei Monaci di Prataglia della regola romualdina, tuttavia conservando il titolo abbaziale; i monaci prataliensi non accettarono di buon grado questa decisione superiore, e solo nel 1183 l'Abate prataliense Guglielmo acconsentì di unirsi ai camaldolesi, ma solo nel colore bianco degli abiti e nella recita degli uffizi divini.
Ancora nel 1352, essendosi rifiutato l'abate di Prataglia Pietro Nocerio di prestare giuramento al Priore Generale dell'Eremo, dovette essere richiamato all'ordine, mediante censure, dal conservatore apostolico di Santa Maria degli Angioli di Firenze, Abate Nicola di Lapo Ghini. Nel 1314 la chiesa di Prataglia venne rifatta, ma l'abbazia sopravvisse solo fino al 1391, quando papa Bonifacio IX la soppresse, incorporandone definitivamente i beni nel patrimonio camaldolese; così il Rettore della Parrocchia doveva essere eletto dal Maggiore di Camaldoli.
La chiesa attuale, unico resto dell'antica abbazia, ha una facciata molto semplice con un portale con arco a tutto sesto, sormontato da una piccola finestra e sopra la porta una terracotta moderna con la Glorificazione di Maria. L'interno è a navata unica, coperta a capriate, con abside semicircolare.
Interessante la cripta, posta sotto il coro rialzato, a tre navate e due campate, con archi a tutto sesto e volte a crociera, e con capitelli di diversa foggia, dei quali due, ornati di palmette e foglie d'acanto probabilmente frutto di spoglio, sono provenienti forse da qualche edificio preesistente di epoca romana. La cripta è stata restaurata nel 1910. Un'apertura rettangolare nella parete di fondo serviva a contenere le reliquie dei martiri. Da notare una figura umana, scolpita a bassorilievo, con le mani alzate, figura simile a quella che si ritrova sulla facciata della Pieve di Montemignaio e che rappresenta l'antico orante.
La chiesa, trasformata profondamente da una serie di restauri, aveva probabilmente due torri a lato dell'abside e, se così fosse stato, avrebbe ripetuto una tipologia di chiesa comune alla aree del Nord Europa. Le due torri furono probabilmente abbattute nel 1510, quando venne costruita l'abitazione del parroco; i due altari laterali e il fonte battesimale della chiesa sono del 1630 e probabilmente i restauri del 1929 che, secondo i canoni dell'epoca, cercavano di riportare all'aspetto originale le chiese romaniche, hanno distrutto delle decorazioni barocche e rinascimentali stratificatesi nel corso del tempo. Durante i restauri, nel 1930, venne costruito anche il campanile. Un ulteriore restauro venne compiuto tra il 1969 e il 1974 da parte della Sovrintendenza di Arezzo, durante il quale furono tolte le finte bozze di pietra ad intonaco poste all'interno nel 1929, riscoprendo così l'antica muratura in pietra.
Ripreso da Wikipedia
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L'inserimento cie è stato gentilmente richiesto dal sig. Renzo Bronchi, del quale riportiamo sotto.
Vi prego, inserite nella vostra rassegna di chiese romaniche del Casentino anche la pieve romanica di Badia Prataglia. E' divenuta nei tempi una chiesa con una navata sola, semplice, povera. Meravigliosa. E spoglia di vesti preziose. Essenziale come le raffigurazioni storiche della figura del Cristo. Più antica della chiesa dell’Eramo di Camaldoli. Se non fosse per la presenza infelice di un organo moderno (forse essenziale per le funzioni ma di brutto stile e quantomeno inappropriato) collocato sulla sinistra dell’altare la definirei perfetta nella sua essenzialità anche come luogo di pratica di culto autentico. L'uomo, il tempio, Dio. Soltanto. Grazie per quanto vorrete fare.
Renzo Bronchi